Paolo Meale -
Eravamo sulla porta guardando quella che accadeva nella sala affollata. Sensei mi fa un cenno, “guarda! quelle sono cinture nere”. Le conto, dieci!
Ho già raccontato come anni fa arrivai alla prima cintura nera e posso dire con sicurezza di aver desiderato di stringerne una sin dal primo giorno sul tatami. Me la sono presa comoda questo è certo. Si, ho detto la prima, ma non pensate male. Non sono un collezionista di diplomi e cinture. Tuttavia è successo che nel tempo, dopo anni di Karate, squillò il telefono e Sensei mi propose il Kudo. A quel punto abbiamo ricominciato il percorso dall’inizio e così ecco un altro Shodan. Vi racconterò il passaggio dal Karate al Kudo in un’altra occasione, piuttosto, ma lo avrete intuito già dal titolo, parleremo di cinture nere e dintorni.
Insomma, li sulla porta con Sensei ci siamo fatti qualche domanda. La necessità di fare domande dovrebbe essere normale per ogni praticante ad ogni livello. Avere un occhio critico su gli altri e sul proprio operato è lo spunto per valutare oggettivamente ciò che si sta facendo e spesso per mettersi alla prova. Qualcuno ti dirà che sei presuntuoso, ma solo perché non sa rispondere alla tua domanda. In fondo cosa significa essere onesti?
La nostra esperienza diretta durante gli anni ci ha fatto conoscere una marea di gente, persone in gamba, campioni veri, a volte straordinari esempi di umanità e coraggio. D’altra parte abbiamo conosciuto, ed incontriamo ancora oggi, personaggi a dir poco singolari.
“Quando saremo tutti cinture nere, nessuno sarà più cintura nera!”, risate.
Ci sono persone del tipo:
Ci serve davvero tutto questo? Ho sempre pensato che la rincorsa al diplomino, al grado, all’attestato di un qualsiasi ente di promozione sportiva, fosse il segnale di un imminente cortocircuito. Ebbene, ci sono persone che si accontentano di leggere su un diploma quello che vorrebbero essere nella realtà. Insomma mettere nero su bianco le proprie abilità!
Poi ce ne sono alcuni davvero fantastici. Hanno una percezione di se stessi totalmente fuori dalla realtà. Sfoggiano curriculum che Andy Hug scansati! Hanno grande esperienza, militano in una qualche pseudo federazione parallela con un nome impronunciabile, sanno un po' di tutto ma non si sa bene dove e come lo abbiano imparato. I più audaci e convinti arrivano ad inventarsi direttamente un’arte marziale, uno stile o metodo, quindi naturalmente diventano gran maestro, soke, shihan e tanta altra bella roba:
Inattacabili. Smascherarli non è facile, potresti anche credere che sia tutto vero. Il personaggio lo hanno costruito bene e hanno anche uno sparuto numero di affezionati seguaci. Attenzione però, il tatami non mente e saranno costretti a rotolare verso nuovi lidi ogni volta che il bluff verrà capito.
Ma ci sono anche persone normali in fondo. Si perché ci sono tanti praticanti che il percorso marziale lo fanno per davvero, più o meno. Fanno tutti gli esami, mai bocciati, arrivano alla nera.
Una volta assistendo ad una lezione ascoltai un maestro dire che la forma fisica ed una muscolatura ben sviluppata non sarebbe servita in un combattimento, che l’aspetto fondamentale risiede nella tecnica, nell’energia ecc. Posso in parte anche darti ragione, però ci vuole un gran bel fisico per sostenere affermazioni del genere. Una ricerca svolta a Stockton California dice che i fratelli Diaz sono d’accordo con questa toeria.
“Ah bene hanno preso i guantini. Ora combattono!”, “si, ma che c’è da ridere Sensei? Asp…ok come non detto”.
Si tratta di un problema antico, cioè non sapere eseguire determinati movimenti o essere in grado di fare uno sparring completo senza che lo spettatore si chieda “ok, ma che stanno facendo questi?”. Si arriva presto a Shodan e mancano i fondamentali.
Ci sono tanti modi di praticare le arti marziali, dipende un po' dalla scuola, dalla disciplina o dal maestro. Il caos è nato proprio dalla libertà di interpretazione che molti si sono presi. Non dimentichiamo che le arti marziali sono quella cosa che fai dopo il catechismo e la piscina. Poi a forza di Kung Fu Panda il ‘piccolo guerriero’ cresce, e sul tatami chi ti ritrovi?
Come non citare poi i fanatici della cultura asiatica. Mettono insieme massime zen, frasi di Bruce Lee, storie di samurai, videogiochi, perché no manga giapponesi e cosplay. Insomma un mischione di tutto quello che pensano essere il mondo orientale. E cosa cercano queste persone nelle arti marziali? Non lo so e credo di non volerlo scoprire.
In ambienti così la cintura ha la sua importanza, fa parte del corredo marziale di cui hai bisogno, anche perché senza essa cosa rimarrebbe? La cintura nera ti conferisce quella momentanea credibilità che non potresti dimostrare altrimenti.
Non dimentichiamoci di loro però. Gente che fa a mazzate davvero, per così dire. Calci, pugni, schiaffi, prese, proiezioni. Osu? Osu!. Esistono i Kata in questo Dojo? No Sensei! Osu? Osu! Eh niente, tutto è doloroso, duro e puro. Osu? Osu!.
Guantini, paratibie, paradenti non si usano altrimenti come ti condizioni?
Così via all’infinito. Certo ammettiamo serenamente che probabilmente è meglio chi esegue i “100 kumite” nel rispetto rigoroso di regole imposte per non picchiarsi troppo, piuttosto chi non ci prova affatto. Che la nera cominci ad avere un altro significato? Dai possiamo dirlo senza che nessun dougi si sgualcisca.
Sensei sbadiglia. “Si va beh, hai finito? che facciamo?”, “Andiamo va”.