Paolo Meale -
Torniamo: ancora quindici ore e saremo a casa. Mentre cerco un film nella lista proposta su questo volo sento che qualcosa è cambiato.
Ci siamo salutati con gli altri solo poche ore fa ed è stato il silenzio durante la strada dall’HQ verso il nostro hotel che ci ha fatto capire che questo non è stato un semplice viaggio, che noi non siamo dei semplici turisti e che tutto quello che abbiamo vissuto è stato necessario.
Cosa è necessario? Scoprire la verità, abbattere le distanze per vedere coi propri occhi quello che abbiamo dedotto o ascoltato dalle parole distorte di altri.
Sendai è forse la città che preferiamo, ha un fascino tutto suo, coi i viali alberati e la mediateca: sei in Giappone ma senti un sapore europeo. Le terme fuori città mi hanno fatto passare il mal di schiena, Shihan mi ha spiegato che in effetti i giapponesi curano il loro corpo in questo modo, sono d’accordo.
Il suo dojo è incredibile. Appena esci dall’ascensore sei già sul tatami, ricorda il nostro a Roma: verde e un po' consumato. Da un lato ci sono degli attrezzi per fare pesi, un sacco enorme è appeso sul lato opposto. In ogni angolo puoi trovare un poster che racconta momenti importanti del kudo negli ultimi 30 anni.
Shihan ci ha parlato della sua storia partendo dalle origini ed è stato emozionante vedere le foto ascoltando direttamente la voce di chi il kudo lo ha voluto e vissuto così intensamente. Alcune delle sue coppe vinte in giro per il mondo sono andate distrutte nel terremoto, ma ne rimangono ancora tante. Abbiamo cercato di capire quali sono i suoi segreti nel combattimento. Shihan ti spiega tutto, ma quando lo hai davanti in uno sparring non è semplice. Percepisci che le tue strategie non funzionano, giochi a carte scoperte, ma non potrebbe essere altrimenti. Il tempo insieme è stato troppo poco, la prossima volta faremo di più.
Shihan ci porta in un’area distante dal centro città: arriviamo da Jukucho.
Seduti nel suo ufficio al piano di sopra parliamo mentre ci prepara una tazza di tè. Gentile e disponibile durante la lezione ci dà un punto di vista differente sulla pratica delle arti marziali. Queste non sono fatte solo di forza e muscoli ma anche di sapiente uso del corpo e conoscenza di se stessi. L’ho capito atterrando al suolo dopo un suo mawashigeri esplicativo.
Una lezione difficile, lo sa anche Jukucho, ma dice che siamo sulla strada giusta. Gli ambienti sono ben organizzati, in una sala a piano terra c’è l’area per la preparazione muscolare e nell’altra il dojo vero e proprio. Si respira tradizione così come testimoniano alcuni attrezzi dal sapore antico, buoni per il condizionamento. Le radici con il karate di Okinawa sono forti in lui; Jukucho parla con calma. Queste ore passate insieme sono preziose. Non ho ancora aperto la scatola di dolcetti che si è premurato di darci prima della promessa di rivederci per continuare il discorso. Essere così in alto e allo stesso tempo così umile ci ha spiazzato.
La grandezza è semplice, la grandezza è umile.
Scarichiamo i bagagli un'altra volta, raggiungiamo l’hotel a Takadanobaba. Il quartiere è bello, vivo ma non caotico come può essere Shibuya o Shinjuku. Lo abbiamo vissuto in mezzo agli studenti che affollano i locali e in mezzo alla gente che si fa gli affari propri, ogni sera, tornando a piedi dall’allenamento giornaliero e nelle ore libere a zonzo per Tokyo. Abbiamo per un attimo dimenticato di avere una vita a migliaia di chilometri da qui.
All’HQ tutto fila liscio, si vive di kudo tutto il giorno, tutti i giorni. Quando suoni al citofono un uchi deshi risponde e ti accoglie facendoti entrare. Ti spiega cosa devi fare, dove andare e come comportarti. Se arrivi un po' prima puoi sentire, dal piano di sopra, provenire le voci dei ragazzi che dalla loro camera stanno parlando e facendo un po' di casino; tra poco scenderanno e si daranno da fare.
L’allenamento si svolge al piano di sotto dove c’è sempre qualcuno che sta facendo qualcosa e che ti guarda incuriosito per poi lasciarsi andare a qualche domanda. La sala è grande a sufficienza per poter accogliere una quindicina di studenti, c’è un timer gigantesco a scandire le riprese e un sacco sdrucito che qualcuno puntualmente starà colpendo.
Dopo il saluto il taiso è veloce e si ripete in ogni lezione come un rituale; si recita insieme il Dojokun. Non puoi restare indifferente al rigore e a questo senso di accettazione della via che il gruppo ha intrapreso. Ti viene voglia di essere partecipe per sempre di tutto questo, ma non puoi e allora decidi fermamente che quello che stai imparando farà parte del tuo percorso da lì in poi. Nel bene o nel male il tuo modo di praticare il Kudo cambierà.
Lo sparring non manca mai: a volte più leggero come se fosse un gioco di abilità, altre volte intenso e duro quasi come in un incontro vero. Tutti partecipano e ognuno a suo modo ti sorprende. Rimarrai stupito dalla bravura di molti di loro e in particolare dallo Shihan-dai: giovane e altrettanto rilassato mentre fa sembrare semplici gesti tecnici, per molti, impossibili da replicare. Gli uchi deshi ci sono sempre; se non si allenano controllano quello che succede e danno supporto a chi ne avesse bisogno. Non mancano le risate e le piccole provocazioni a rendere l’ambiente competitivo ma allo stesso tempo familiare.
Impari velocemente e questo è un bene perché saremo qui solo per una settimana. Ogni serata è differente dalle altre, incontri quasi sempre gente nuova e hai modo di conoscere persone molto in gamba. Ci sono diversi campioni del mondo con i quali scambiare, anche i più giovani hanno fatto esperienze importanti. I gradi più alti li hai già visti in altre occasioni o in qualche video, ma tutti sono gentili e pronti a insegnarti qualcosa di nuovo.
Il venerdì sera potrai addirittura fare due ore di lezione con una vera e propria Leggenda della lotta, pare incredibile, ma è lì con te sul tatami che condivide un pezzo del suo sconfinato bagaglio di esperienza. Tutto normale, semplice.
Sicuramente di chiacchiere se ne fanno poche, nessuno sbandiera discorsi altisonanti; si rispettano i gradi ma in questo dojo parlano i gesti, gli sguardi e quella sensazione che tutto sia stato già scritto e deciso da qualcuno al di sopra di te. Puoi sentire forte il senso di appartenenza a qualcosa, qui c’è una famiglia che tiene insieme tutto: la senti, la vedi, è reale. La presenza di Lui non è dimenticata ma onorata in ogni gesto.
L’uchi deshi non era presente all’allenamento collettivo svolto a Shinjuku; ha preparato l’HQ per accogliere tutti gli invitati all’usuale cena del sabato sera. Lei invece ha cucinato per tutti. Mangeremo il tonno proveniente da Sendai, così come piaceva a Lui, e non puoi evitare di emozionarti di fronte a questo senso di comunità che ti circonda e ti accoglie.
Hanno preparato i posti a sedere riservandoci il capotavola, non sono sicuro di meritare tanto ma è un gesto di rispetto che ci consente di partecipare al meglio senza essere invadenti. I commensali sono divertiti: si parla in piccoli gruppi, si ride e si brinda. C’è chi è interessato a capire qualcosa di te, chi ti porge un piatto da assaggiare o ti riempie il bicchiere. Sono sinceri, sono veri.
A un certo punto, facendo il giro, questi nuovi amici, raccontano qualcosa di loro stessi tenendo un piccolo discorso che ci consente di raccogliere delle istantanee di vita di ciascuno. Spero anch'io di aver lasciato un frammento di me che verrà ricordato.
Le prime volte che abbiamo viaggiato in Giappone avevamo da subito sentito un’attrazione verso questo popolo così lontano dalle nostre maniere; qualcosa di diverso ma vicino allo stesso tempo. Rifletto su quanto siamo simili.
Lo abbiamo capito fuori dall’HQ, guardando i suoi occhi mentre ci salutavamo, nella stretta del suo abbraccio e nel profondo inchino che tutti hanno fatto mentre Lei si allontanava con la sua bicicletta e l’uchi deshi a scortarla due passi dietro per un ritorno tranquillo verso casa. Non avevamo realmente più parole durante l’ormai solito percorso verso l’hotel; domandandoci cosa avessimo vissuto; cosa ci avessero dato queste persone.
Nella lunga via del ritorno capiterà che ti sentirai un po' perso perché il mondo è così lontano e anche la tua famiglia è così lontana. Invece è sempre stato tutto lì, dall’altra parte dell’oceano, dovevi solo cercare il modo per ritrovare la strada verso casa.